Fisso-Minimo-Acconto: non sono la stessa cosa!


Fisso-Minimo-Acconto: non sono la stessa cosa!

Autore: Electomagazine - Francesco Filippelli

La preponente deve liquidare (in termini pratici: “fare i conteggi”, calcolare) le provvigioni maturate dall’agente, e dargliene notizia entro il mese successivo al termine di ogni trimestre solare; entro lo stesso termine la mandante dovrà pagare materialmente tali compensi.
Lo dice il Codice Civile, che in tal senso non ammette deroghe a svantaggio per l’agente.

Le parti possono pattuire che, nel corso del trimestre, l’agente percepisca acconti sulle provvigioni che sta maturando: questo al fine di garantirgli un flusso di cassa costante, necessario per poter svolgere al meglio la sua attività.
Altre volte può essere pattuito, in aggiunta alla provvigione a percentuale, un ulteriore importo – usualmente a titolo di contributo forfettario delle spese sostenute dall’agente -.
Per lo stesso fine può essere previsto un compenso minimo garantito (magari limitato ai primi mesi di durata del rapporto).
Acconto, contributo, minimo garantito… Attenzione! Non sono termini con il medesimo significato.
L’acconto è, per sua natura, l’anticipazione di una somma che non si è sicuri di aver meritato, e di cui pertanto potrebbe essere richiesta la restituzione; al contrario, gli importi percepiti a titolo di minimo garantito o di contributo forfettario  sono acquisiti e non rimborsabili.
Si badi che se è stato pattuito “un acconto provvigionale fisso di € ….. mensili” non significa che quell’importo sia da considerarsi definitivamente acquisito e non rimborsabile: significa invece che ogni mese la preponente si impegna a corrispondere quella cifra, che deve però intendersi percepita provvisoriamente, in attesa di conoscere il reale importo dei compensi spettanti.
Con la conseguenza che, se dall’estratto conto provvigionale risulterà che gli importi maturati sono inferiori a quelli percepiti, l’agente dovrà restituire la differenza.

Il rimborso o concorso spese, se pattuito tra le parti, può assumere due varianti: il rimborso, da parte della preponente, di somme anticipate dall’agente per determinate spese (autostrada, albergo, ristorazione ecc…); oppure una somma erogata a fondo perduto, a ristoro totale o parziale delle spese dell’agente stesso.
Nel primo caso (usualmente definito “rimborso a pié di lista”) l’agente sosterrà di tasca propria le spese, facendo però intestare alla preponente i relativi documenti giustificativi ai fini fiscali; successivamente la preponente gli restituirà il mero importo delle spese effettuate, senza che l’agente sia tenuto ad emettere la relativa fattura alla mandante stessa.

In pratica, tali somme non saranno considerate spese, né ricavi per l’agente, in quanto sarà la preponente a dedursi tali importi quale costo in bilancio.
Nel secondo caso l’agente riceverà dalla preponente, in aggiunta alle provvigioni, un determinato importo “a forfait”, che concorrerà in misura totale o parziale ai costi che egli sosterrà (e che porterà in deduzione come costo ai fini fiscali), senza dover dar conto alla preponente dell’entità delle spese realmente sostenute.
L’agente in questo caso emetterà alla preponente una fattura provvigionale per l’importo del rimborso spese percepito (che diverrà per lui ricavo di esercizio), mentre porterà a costo gli importi delle spese realmente sostenute.

Come si può notare, le sfumature di un contratto sono molteplici, e una minima differenza nell’articolato delle clausole può originare conseguenze anche molto diverse tra loro.

Fonte Electomagazine