Via delle Sette Chiese, 144 - 00145 Roma
800 616 191
info.agenti@usarci.it

E' morto Nino Benvenuti, leggenda della boxe e medaglia d'oro a Roma '60

E' morto Nino Benvenuti, leggenda della boxe e medaglia d'oro a Roma '60

(Adnkronos) -

E' morto Nino Benvenuti. Lo apprende l'Adnkronos da fonti sportive. La leggenda del pugilato italiano aveva 87 anni. Benvenuti fu medaglia d'oro alle Olimpiadi di Roma 1960 nella categoria dei pesi welter. Da professionista, fu campione del mondo dei superwelter tra il 1965 e il 1966 e campione del mondo dei pesi medi tra il 1967 e il 1970. 

 

Ci sono storie che non possono essere dimenticate. Storie che, al pari dei pugni sul ring, lasciano il segno. Quella di Nino Benvenuti, medaglia d'oro olimpica nel 1960, campione mondiale dei pesi medi e superwelter, è una di queste. Non solo perché è la parabola di un pugile leggendario, ma perché è anche la voce di un popolo: gli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia, strappati dalle loro terre, ignorati per decenni, perseguitati prima dai carnefici della Storia e poi dalla dimenticanza. "Ci chiamavano esuli, ma noi eravamo solo italiani", diceva Benvenuti. E quella parola, 'esuli', per lui, e non solo per il campionissimo della boxe tricolore, suonava come una ferita ancora aperta. 

Nato il 26 aprile 1938 a Isola d'Istria, oggi territorio sloveno, Nino cresce in una famiglia numerosa, benestante, immersa in un mondo fatto di pescherie, dialetti, giochi di strada e mare. Un microcosmo sereno che viene spazzato via nel dopoguerra, quando il Maresciallo Tito, il dittatore della Jugoslavia comunista, avvia l'epurazione degli italiani dall'Istria. Un processo fatto di espropri, minacce, sparizioni, e spesso, di morte. 

"La polizia politica jugoslava venne a casa nostra. Arrestarono mio fratello Eliano, che aveva la poliomielite. Non seppero dirci perché. Tornò mesi dopo, con i capelli ingrigiti. Non fu mai più lo stesso", ricordava Nino Benvenuti. La madre, devastata dalla paura, morirà poco dopo di crepacuore. La famiglia fugge a Trieste, lasciandosi alle spalle tutto: casa, terra, lingua. E radici. Nino trova nella boxe non solo un talento naturale, ma una via di fuga, un modo per dare un senso alla sofferenza. Pedalava 60 km per allenarsi a Trieste, tra fame e fatica. La disciplina del ring diventa la sua ancora di salvezza, il suo modo per riscattare non solo se stesso, ma un'intera comunità derubata della propria identità. 

Nel 1960, alle Olimpiadi di Roma, conquista l'oro nei pesi welter. Il pubblico esulta. Il padre lo abbraccia. Qualcuno tra la folla sventola la bandiera istriana. "Quella medaglia - dirà poi il campione olimpico - non cancellava il passato, ma gli dava un senso". Era la rivincita di un ragazzo che aveva visto la guerra in casa, la prigionia del fratello, la morte della madre, l'umiliazione dell'esilio. Ed era, soprattutto, la rivincita di un popolo intero. 

Benvenuti non ha mai dimenticato. Ha scritto la sua storia insieme a Mauro Grimaldi in "L'isola che non c'è" (Eraclea, 2013) e l'ha raccontata anche attraverso le pagine del fumetto "Nino Benvenuti, il mio esodo dall'Istria", illustrato da Giuseppe Botte e pubblicato da Ferrogallico nel 2019. Tavole evocative, che ripercorrono il dolore e la gloria, la fuga e la medaglia, l'amore per un paese che non c'è più. Quel che emerge è chiaro: la boxe è stata la sua seconda patria. Ma la ferita dell'Istria non si è mai rimarginata. "Come alberi, ci hanno strappato le radici. A noi italiani d'Istria è stata negata la memoria, la dignità, persino l'esistenza. Per troppo tempo il nostro dramma è stato taciuto", confessava amaramente il pugile entrato nel mito. 

Benvenuti non ha mai cercato "vendetta". Ma memoria. "Tutte le guerre sono terribili, ma l'odio che generano è il male peggiore", ha scritto nel suo libro autobiografico. E lo diceva con l'autorevolezza di chi ha conosciuto davvero l'odio, ma ha scelto la via del riscatto, del racconto, della condivisione. Nel Giorno del Ricordo, stabilito per legge ogni anno il 10 febbraio per ricordare i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata, la sua voce è stata più forte che mai. "Papà, ce l'ho fatta", disse salendo sul podio olimpico. Da allora, per Nino, quel "ce l'ho fatta" valeva anche per chi non ce l'aveva fatta. Per chi era scomparso nelle foibe. Per chi aveva vissuto in un campo profughi. Per chi aveva dovuto nascondere il proprio dialetto e la propria storia per non essere considerato un "nemico". La storia di Nino Benvenuti è anche la storia di un "popolo dimenticato". Ma anche la prova che si può resistere, rialzarsi, e vincere. Nonostante tutto. 

 

''Addio a Nino Benvenuti, campione straordinario e simbolo di un’Italia fiera, coraggiosa, capace di rialzarsi", scrive Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, su X. "È stato uno dei più grandi pugili della nostra storia, ma anche molto di più: profondamente legato alle sue radici istriane, è stato un testimone instancabile della tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, contribuendo a scrivere una storia che non era stata raccontata. Alla sua famiglia e a tutti coloro che gli hanno voluto bene va il mio pensiero commosso. Grazie, Nino, per i tuoi combattimenti sul ring e per quelli in difesa della verità. L’Italia non ti dimenticherà". 

 

"Sei entrato nell'Olimpo e hai dominato sul ring diventando un'icona senza tempo. Hai conquistato il Mondo, vincendo i Giochi di Roma '60 e poi i titoli iridati, regalando al pugilato e a tutto lo sport italiano un esempio sinonimo di orgoglio. Ciao Nino. Le tue gesta, il tuo sorriso, la tua classe rimarranno un marchio di fabbrica intramontabile. Sei stato un campione straordinario, rimarrai una leggenda, un Mito per sempre", scrive il presidente del Coni, Giovanni Malagò, sui suoi social. 

 

"I grandi uomini fanno grande lo sport. Nino ci ha lasciato, ha lasciato il suo ring, la sua nobile arte e quanti lo hanno amato. Tuttavia, il suo ricordo rimarrà indelebile, la sua figura è già mito e leggenda. L’Italia pugilistica e tutto il mondo sportivo lo ricorderanno per sempre. Stile, eleganza e raffinatezza dentro e fuori dalle 4 corde, spesso mio padre mi ha raccontato le tue straordinarie vittorie e quel tuo essere uomo da popolo della boxe", le parole del presidente della Federazione pugilato italiana (Fpi) Flavio D'Ambrosi. 

"Da campione olimpico a campione mondiale, hai regalato agli italiani quel senso di appartenenza ed orgoglio che solo i grandi personaggi possono dare -aggiunge D'Ambrosi sull'account X della Federpugilato-. Caro Nino sei stato quel raggio di sole che ha illuminato il pugilato italiano anche all’imbrunire dei tempi moderni. Sei nella storia e nei cuori di tutti coloro, tanti, che ti hanno amato. Condoglianze ai familiari e ai suoi cari". 

 

Francesco Damiani, ex campione del mondo dei pesi massimi, ha voluto ricordare Benvenuti all'Adnkronos: "Quella di Benvenuti è una grave perdita, mi dispiace molto: lascia un grande vuoto nel pugilato". "Lui era una grande persona, da bambino lo guardavo sempre e i primi ricordi che ho della boxe sono proprio gli incontri di Nino che vedevo con mio padre", ha raccontato Damiani, "lui era un eroe degli anni '60, l'idolo di una generazione. Ho avuto la fortuna di conoscerlo quando ho intrapreso la carriera da pugile, come nella Coppa del Mondo a Roma, quando lui era ospite della Federazione e io un dilettante: ci premiò e ci fece i complimenti, lo ricordo ancora adesso".  

"Eravamo tutti molto orgogliosi di Benvenuti - l'unico pugile italiano ad aver detenuto il titolo mondiale unanimemente riconosciuto di due categorie di peso, medi e superwelter - e lascia un grande vuoto. L'ho incontrato anche da allenatore, come nel torneo di Carnera a Udine a cui lui era sempre presente, ed è sempre stato bello stare in sua compagnia", ha concluso l'argento olimpico di Los Angeles '84. 

 

"Ci siamo conosciuti alle Olimpiadi di Roma nel 1960, lui 22enne e io 27enne, è nata un'amicizia che è durata una vita, con frequentazioni non particolarmente assidue ma sempre molto calorose. Ci legava la passione per lo sport e i natali istriani", dice il campione olimpico di Tokyo nella 50 km di marcia Abdon Pamich. 

"Sapevo fosse malato e questa triste notizia non mi ha sorpreso, l'Italia perde una delle sue bandiere, uno dei suoi sportivi più grandi -sottolinea Pamich-. Io perdo non solo un amico ma anche un mio idolo, visto che da appassionato di pugilato non mi perdevo un suo incontro. Ricordo le nottate insonni per seguire i suoi incontri al Madison Square Garden di New York con Emile Griffith e la grande gioia dopo le sue vittorie. Una gioia condivisa con milioni di italiani".