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Il Tribunale di Treviso da ragione agli agenti

Il Tribunale di Treviso da ragione agli agenti

Autore: Electomagazine - Francesco Filippelli

Importante pronuncia di giurisprudenza a favore degli agenti di commercio.

L’indennità prevista dal Codice Civile a fronte del patto di non concorrenza post-contrattuale è dovuta anche se la disdetta dell’agente è conseguente al raggiungimento del requisito pensionistico.

Lo ha sancito la sentenza n° 33/2024 del tribunale di Treviso del 17.01.2024 che ha riconosciuto, a favore dell’agente, il diritto all’indennità relativa al patto di non concorrenza post contrattuale ex art. 1751-bis, come regolato dagli A.E.C., anche nel caso che l’agente consegua la pensione, nella fattispecie la c.d. “Quota 100”.

Per comprendere il contesto della sentenza è necessaria una premessa.

Alla stipula di un contratto di agenzia, è possibile pattuire tra le parti una clausola che preveda l’obbligo, a carico dell’agente, di non svolgere attività in concorrenza con la preponente, non solo durante il rapporto di agenzia, ma anche per un periodo successivo alla sua cessazione.

Tale obbligo – di per sé vessatorio per l’agente – viene preso in considerazione dal Codice Civile, che con l’art. 1751-bis ne regola la validità, prevedendo i seguenti limiti:

– durata massima dell’obbligo: due anni dal termine del contratto di agenzia

– validità soltanto nella zona e per i generi di prodotti e tipologia di clientela che hanno formato oggetto dell’incarico di agenzia appena cessato

– previsione di un’apposita indennità – di natura non provvigionale – a favore dell’agente che ha accettato tale vincolo

La ragione fondante che giustifica quest’ultima indennità è duplice.

Da un lato va a ristorare – almeno in parte – l’agente del pregiudizio che subisce per non poter trarre frutto dalla conoscenza del settore merceologico e della clientela ormai acquisita per poter promuovere prodotti analoghi per conto di altre preponenti, una volta terminato l’incarico precedente.

Dall’altro, costituisce il “prezzo” che la preponente paga in cambio del vantaggio che essa ottiene dal fatto che l’agente (che ora opererà per altre preponenti) non potrà distoglierle quote di mercato, facendo acquistare ai clienti prodotti simili.

Ed è proprio quest’ultimo aspetto ad aver orientato il Giudice nella sentenza di cui si parla; in altre parole, è stato ritenuto significativo il vantaggio che la preponente ottiene dal patto, indipendentemente dal fatto che il rispetto di tale obbligo abbia comportato o meno per l’agente un ”sacrificio” rilevante.

Nel caso di specie, l’agente aveva stipulato con la preponente un patto di non concorrenza post-contrattuale della durata di un anno dal termine del rapporto; inoltre, era anche prevista la facoltà della preponente, all’atto della cessazione del contratto, di liberare l’Agente dall’obbligo di non concorrenza e, pertanto, di non corrispondere il relativo trattamento.

L’agente ha interrotto il contratto di agenzia per poter accedere al requisito richiesto per la pensione I.N.P.S. “Quota 100”, tipologia di trattamento pensionistico che prevede la cessazione dell’attività da parte del fruitore.

Facendo leva su quest’ultimo elemento, la preponente aveva ritenuto di essere esentata dal corrispondere l’indennità prevista per il patto di non concorrenza, in quanto tale obbligo non avrebbe comportato per l’agente alcun impegno o onere (dovendo egli cessare comunque l’attività per ottenere la pensione).

La sentenza ha invece disposto che le motivazioni addotte dall’azienda fossero infondate, in quanto il patto contrattuale poneva la preponente nella condizione di ottenere in ogni caso ciò per la quale essa si era determinata a stipulare la clausola: l’astensione dell’attività lavorativa dell’(ex) agente per prodotti concorrenti analoghi e nella stessa zona.

Ma la sentenza di cui si tratta ha anche sancito la nullità della pattuizione contenuta nel contratto di agenzia, che concedeva alla preponente la facoltà di scelta se avvalersi o meno dell’obbligo dell’agente; il motivo della censura del Giudice è dovuto alla seguente considerazione.

All’atto della stipula del patto di non concorrenza – l’agente aveva, da un lato, programmato la propria futura attività lavorativa (essendo conscio di non poter acquisire incarichi in concorrenza, anche dopo il termine dell’incarico in questione), e dall’altro, egli si era assicurato un introito economico aggiuntivo (l’indennità per il patto di non concorrenza, appunto).

Alla luce di tale clausola, la scelta della preponente di liberare l’agente dall’obbligo di non concorrenza, avrebbe disatteso le aspettative dell’agente, che egli aveva prefigurato in precedenza.

In estrema sintesi, la sentenza ha riconosciuto dunque due concetti fondamentali:

– l’obbligo che vincola l’agente non può più essere variato unilateralmente dopo la sua pattuizione (l’agente non può rinunciare all’indennità pur di potersi liberare dall’obbligo di non concorrenza, e la preponente non può rinunciare al patto pur di non corrispondere la relativa indennità)

– il vantaggio che la preponente ottiene dall’ “obbligo di non fare” [concorrenza, n.d.t.] da parte dell’agente deve essere oggetto di remunerazione, anche se l’agente non assumerà incarichi in concorrenza per ragioni non direttamente connesse con l’obbligo suddetto

Tale assunto è peraltro di pacifica applicazione anche in una moltitudine di ambiti diversi: chi commissiona un’opera ad un artigiano non potrà, ad esempio, pretendere di corrispondergli un compenso inferiore a quello pattuito, solo perché l’esecuzione del suo lavoro è stata agevole, o ha comportato costi o tempi inferiori al previsto.

Fonte Electomagazine